IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile n. 1744/1985, promossa da Curatela Arena Alessandro avv. Chiarenza Carassale contro comune di Celle Ligure, contumace. Fatto e diritto Con atto di citazione notificato il 1 agosto 1985 l'avv. Romeo Pastrengo, in qualita' di curatore nominato ai sensi dell'art. 508 c.c nell'eredita' di Alessandro Arena (accettata con beneficio di inventario), conveniva in giudizio, davanti a questo tribunale, il comune di Celle Ligure, esponendo: che l'eredita' era proprietaria di un immobile sito in Celle Ligure, via Gioia, ricompreso in un'area interessata da un progetto di opera pubblica per la sistemazione a parcheggio, approvato con delibera del consiglio comunale del 18 dicembre 1980; che il predetto terreno era stato oggetto di occupazione di urgenza, i cui termini erano scaduti, senza che fosse intervenuto un formale provvedimento espropriativo; che, a causa dell'irreversibile destinazione dell'immobile, in assenza di un formale provvedimento di espropriazione o comunque a causa della sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilita', l'eredita' aveva diritto al risarcimento dei danni subiti per la perdita della proprieta', da commisurarsi al valore venale dell'immobile ed alla sua mancata disponibilita' a decorrere dal 23 gennaio 1983. Concludeva chiedendo la condanna in tal senso del comune, con vittoria delle spese di causa. Si costituiva in giudizio il convenuto, sostenendo l'inammissibilita' e l'infondatezza della domanda attrice, di cui chiedeva il rigetto, con vittoria di spese, eccependo altresi' l'intervenuta prescrizione del diritto azionato dall'attore. Veniva disposta consulenza tecnica al fine di accertare l'effettiva esecuzione delle opere indicate in citazione, la irreversibile trasformazione dell'immobile dell'attore ed il suo valore venale alla data del 23 gennaio 1983. Le parti precisavano le conclusioni e la causa, chiamata all'udienza collegiale dell'11 maggio 1990, veniva interrotta in seguito al decesso del difensore del convenuto. Tempestivamente riassunta veniva quindi assegnata in decisione all'udienza collegiale del 26 febbraio 1993. Con successiva ordinanza il collegio, ritenendo necessario chiedere chiarimenti al consulente tecnico in ordine alla valutazione del valore dell'immobile, rimetteva la causa davanti al giudice istruttore. Precisate nuovamente le conclusioni, la causa veniva quindi assegnata in decisione all'udienza collegiale del 19 aprile 1996. Tutto cio' premesso, il collegio preliminarmente deve dichiarare la contumacia del comune convenuto, in quanto non vi e' agli atti il fascicolo di parte, contenente la procura rilasciata al difensore, ne' risulta dai verbali di causa, che sia stata in precedenza verificata la regolarita' della sua costituzione in giudizio. Nel merito ritiene il collegio che la pretesa risarcitoria dell'attore sia fondata, in quanto, quando la pubblica amministrazione occupa un fondo di proprieta' privata per la costruzione di un'opera pubblica e tale occupazione divenga illegittima per il decorso dei termini, la radicale trasformazione del fondo, con l'irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell'opera pubblica, comporta l'estinzione del diritto di proprieta' del privato e l'acquisizione contestuale, a titolo originario, della proprieta' del bene in capo all'ente pubblico, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere la condanna al risarcimento del danno derivante dalla perdita del diritto di proprieta' (v. Cass. sez. u. 26 febbraio 1983, n. 1464 e Cass. sez. u. 9 marzo 1983, n. 1754). La suprema Corte ha evidenziato che, quando sia stato emesso un decreto autorizzativo dell'occupazione temporanea e d'urgenza e la trasformazione del bene occupato sia intervenuta nel corso del periodo di occupazione legittima, il fatto illecito, si perfeziona alla data della scadenza dell'occupazione legittima, non seguita da espropriazione (v. Cass. 10 aprile 1985, n. 2369, Cass. 11 dicembre 1987, n. 9173 e Cass. 28 marzo 1990, n. 2535). Ora, nel caso di specie, emerge in primo luogo che l'irreversibile trasformazione del fondo dell'attore si e' verificata durante il periodo di occupazione legittima e che tale occupazione e' divenuta successivamente illegittima, allo scadere del termine per essa previsto, senza che sia intervenuto alcun provvedimento espropriativo. Ne consegue che, essendosi perfezionato il fatto illecito, il comune e' tenuto al risarcimento del danno subito dall'attore e rappresentato dalla perdita della proprieta' del bene. In ordine alla quantificazione di tale danno si deve osservare come, nelle more del giudizio, la materia abbia subito una evoluzione normativa. E' noto infatti che l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992, convertito con legge n. 359/1992 - che prevede, per la determinazione dell'indennita' nelle espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere di pubblica utilita', l'applicazione dell'art. 13, terzo comma, della legge n. 2892/1985, sostituendo ai fitti coacervati dell'ultimo decennio, il reddito dominicale rivalutato, di cui agli artt. 24 e seguenti del testo unico n. 917/1986 e riducendo l'importo del 40% - e' stato modificato dall'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, con l'estensione dell'ambito di applicazione del menzionato criterio anche in tema di risarcimento dei danni. Ed infatti il nuovo testo del citato sesto comma risulta attualmente cosi' formulato: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono ancora stati determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o il risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Non vi e' dubbio che la modifica legislativa, pur incidendo sul predetto comma, che prevede la disciplina transitoria, ha esteso, mediante il richiamo fatto alle precedenti disposizioni, i parametri di liquidazione ivi previsti alle ipotesi di risarcimento dei danni. L'uso della congiunzione disgiuntiva "o" rende poi la disposizione operante anche nei casi in cui venga chiesta, come nell'ipotesi di accessione invertita, esclusivamente la condanna al risarcimento dei danni. Inoltre il criterio stabilito dall'articolo in commento, prendendo come primo parametro di riferimento - per effetto del richiamo all'art. 13, terzo comma della legge n. 2892/1985 - il valore venale del fondo, limita l'operativita' della norma al danno, tipico della accessione invertita, che si concreta nella privazione, per fatto illecito, della proprieta' del fondo. Ne consegue che la disciplina in commento deve ritenersi applicabile alla presente fattispecie. Senonche' il collegio ritiene non palesemente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo in commento, gia' sollevata da altri giudici di merito, con riferimento agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione. Cio' per le seguenti considerazioni: 1) perche' applicando gli stessi parametri di liquidazione per le ipotesi di ablazione lecite ed illecite si determina un trattamento uguale di situazioni profondamente diverse, discriminando il soggetto che subisce una espropriazione di fatto, per effetto della accessione invertita, da colui che e' sottoposto a regolare procedimento espropriativo, che puo' intervenire nella procedura, concordare una cessione bonaria, a condizioni per lui economicamente piu' vantaggiose ed avvalersi delle garanzie giurisdizionali previste contro l'operato della pubblica amministrazione; 2) perche' applicando i criteri indennitari alle ipotesi di illecita ablazione dell'immobile, si fa a luogo ad un risarcimento parziale del danno, in deroga al principio generale di cui all'art. 2043 c.c., discriminando colui che perde la proprieta' del bene per effetto di accessione invertita rispetto al soggetto che subisce un altro illecito extracontrattuale; 3) perche', applicando i parametri di cui all'art. 5-bis alla accessione invertita si determina una espropriazione di fatto, al di fuori dei casi e delle procedure previsti dalla legge; 4) perche' la parificazione delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla ablazione lecita ed illecita della proprieta' fa venir meno la principale remora al compimento di atti illeciti da parte della p.a., violando il principio del buon andamento e dell'imparzialita' dell'azione amministrativa.